Quello
che andrò scrivendo oggi, è un diario di viaggio alquanto
atipico... nessuna meta esotica, nessuna fuga di gusto...
Quello
di oggi è il diario di un evento cui, annualmente, io e tutti i miei
colleghi veniamo crudelmente assegnati: il tanto terribilmente temuto
RT a Luton.
Cominciamo
con lo spiegare cosa sia l'RT, abbreviazione di Refresher Training:
sarebbe il “richiamo” (si, ahimè.. come un vaccino contro una
fastidiosissima malattia!) delle nostre conoscenze manualistiche e
procedurali, ovvero un aggiornamento e una verifica della nostra
preparazione lavorativa...
Così
avete scoperto anche un'altra cosa: che gli Assistenti di Volo non
sono in cabina solo per servire bevande e snacks, ma che in fondo una
funzione ben precisa l'hanno pure loro, per la quale sono chiamati a
ben 3 settimane di corso intensivo preparatorio (se si considera
l'attuale azienda per cui opero), e. successivamente, a questo
flagello annuale di verifiche ed aggiornamenti su porte, scivoli,
fuochi, decompressioni e catastrofi varie....
Ma
perchè parlo di flagelli, malattie e cose terribili? È qui che si
giunge al nocciolo della seconda questione... Luton... Nel nome della
città troverete tutte le spiegazioni possibili...
Luton
è una mai ridente cittadina posta a nord di Londra, dove la mia
azienda ha deciso di nascere e proliferare. Magari il centro e i
dintorni saranno di una bellezza strepitosa (chi può mai dirlo,
senza andare in visita?), ma l'area in cui siamo costretti a
soggiornare per motivi di praticità (vicinanza all'Academy, tempio
della formazione arancione), è di una tristezza infinita: aeroporto,
piste, hangar e bus navetta.. neanche l'ombra delle case dai tetti a
spiovente, delle grandi finestre a vetri e delle stradine private di
un tipico borgo inglese.
Se
a questo aggiungete il clima tipicamente britannico... il quadro è
completo..
Non
che a Malpensa abbia lasciato la primavera, nonostante sia ormai una
settimana che avrebbe dovuto far capolino... ma, prima o poi, sai che
arriverà e ne apprezzerai a pieno il tepore, mentre qui... beh,
pioggerellina e vento si occuperanno di accompagnarti fino
all'estate, che nel giro di uno o due mesi appena, cederà spazio
nuovamente all'autunno.
Se
siete degli attenti e critici lettori, vi chiederete dunque perchè
ci ostiniamo a spendere il tempo libero del nostro soggiorno
nell'area appena definita, senza aggirarci nei dintorni alla scoperta
dell'anima di Luton.
Il
punto sta nella parola “tempo libero”.
Perchè
dopo 8 ore di chiacchiere (in una lingua fatta di suoni affettati e
pronunce irripetibili), siamo talmente sfatti da non avere nemmeno la
forza di uscire dal nostro hotel per una cena, e ci riduciamo a
consumare cibo in scatola portato da casa, alimenti acquistati al
Marks & Spencer dell'aeroporto o un hamburger e patatine con
servizio in camera.
Ma,
questa volta, voglio provare ad affrontare l'esperienza in maniera
differente: merito di questo blog e della spasmodica voglia di
riempirlo, o dei 5 giorni che ci appresteremo a trascorrere
nell'isola, voglio uscire e conoscere un minimo la città che mi
ospita, scoprirne eventuali lati nascosti o, se non altro, tentare la
fuga da questa prigione fatta di soli hangar.
L'occasione
si presenta con la prima delle 5 giornate a disposizione, quella del
“tempo libero” a tutti gli effetti: la giornata di
posizionamento, che ci fa atterrare su una zona ancora innevata
intorno alle 11 locali (un'ora indietro rispetto a quella italiana)
di un mercoledì di fine marzo, lasciandoci il tempo di
ri-familiarizzare con le nostre piccole abitudini annuali (prelievo
di moneta in sterline, sosta ristoro al Marks & Spencer,
trasferimento nella solita camera senza frigobar e senza bidet) fino
a domani alle 8, l'inizio delle prossime 3 lunghe giornate di RT.
Alle
16:30 l'appuntamento per prendere il bus che ci porterà in centro...
alla scoperta di qualcosa di nuovo o di fronte all'ennesima delusione
(e conferma) programmata?
La
città ci accoglie con i suoi negozi aperti e un leggero venticello.
Decidiamo
di ripararci all'interno del Mall... ma probabilmente è solo una
scusa per poter fare un po' di shopping al femminile.
Mi
muovo estasiata tra gli scaffali di shampoo, bagnoschiuma e prodotti
per l'igiene in generale... Non che non sia abituata ad
utilizzarli... ci mancherebbe solo questo! E' che non sono avvezza a
visualizzare quei prezzi... Per intenderci, tre pacchi di salviette
struccanti a £ 1 (non l'uno, ma tutti e tre!), fazzoletti a 0.59 p
(l'intera stecca), prodotti per l'igiene orale a poco meno di £ 2
(avete presente il mega bottiglione di Listerine??!)... avrei
acquistato una valigia solo per poter riportare indietro tutto
questo...
Finalmente,
trovo anche l' “oggetto dei miei desideri” da un po' di tempo a
questa parte: la borsetta frigo da portare a lavoro, per poterci
mettere le mie varie fonti di gratificazione nelle giornate infinite,
e apprendo inoltre che il suo nome non sia “cool bag”, ma “lunch
bag”... ricordatelo nel caso doveste averne bisogno, altrimenti
tornerete a casa con un rotolo di domopak...
Francesca,
una collega fanatica di Londra e dintorni, e frequentatrice d'assalto
del Body Shop in quel di Luton, è il mio cicerone... e, in quanto
tale, decide che -in questo giro di esplorazione della città- io non
possa omettere la visita al negozio di American Nail Art, situato
nella piazzetta dei taxi.
L'ingresso
al negozio è a dir poco vertiginoso: niente scale, dirupi o cose del
genere... però entrateci e capirete... decine di testoline
vietnamite schierate dietro piccoli banchetti con altrettante
clienti, e nell'aria un olezzo pesantissimo di smalti e laccature
varie... insomma, da capogiro.
Aspetto
Francesca fare la manicure seduta in un angolino, e attenta osservo
la ragazza di fronte a me che, munita di un arnese tipo cotton fioc,
spalma la cera attorno alle sopracciglia di una giovane cliente... e
via con uno strappo secco e risoluto... Decido che nella mia vita non
farò mai la ceretta alle sopracciglia...
Francesca
rispunta all'orizzonte con le sue nuove unghie, orgogliosa dei suoi £
8, e lentamente decidiamo cosa fare per cena. Uno dei motivi per cui
mi trovo a Londra, dichiaro, è la pizza di Pizza Hut. Non vogliatemi
male, per carità... Ma adoro quella pasta alta e al tempo stesso
croccante, servita nella teglia con la sua palettina... e Francesca
sogna di poter riassaggiare un bordo ripieno di formaggio. Così, non
esitiamo un attimo a fermare un gruppo di ragazzi per strada e
chiedere loro indicazioni circa il ristorante più vicino, e salite
sul taxi ci dirigiamo poco fuori Luton alla ricerca del cappello
rosso e dell'esperienza “extrasensoriale” di una pizza American
style.
La
giornata si conclude di rientro in hotel, con la consapevolezza che,
talvolta, i pregiudizi non sempre restino soltanto tali... Luton è
così come credevo che fosse, niente di entusiasmante o di
particolarmente scenico... ma, per lo meno, sono riuscita ad evadere
un paio di ore dal quartiere hangar e a respirare un'aria non di solo
cherosene.
La
sveglia alle 6:45 è già puntata sul mio cellulare... e quando un
timido sole fa capolino nella finestra della mia camera, quasi
dimentico di essere qui. La giornata si prospetta molto lunga, e sono
sicura che l'Academy ci inghiottirà totalmente tra le sue viscere
(le tristissime classi stile bunker, senza finestre), che quando
riemergeremo il sole sarà già andato via.
In
effetti, alle 10 del mattino le tenebre han già preso il sopravvento
su quel pallidissimo chiarore, e un vento rigidissimo spiega il
perché ai bordi delle strade sia ancora tutto innevato.
La
pausa nella nuova canteen ci entusiasma di più, se non altro per
l'ampiezza dello spazio e per la maggiore possibilità di scelta dei
panini, ma 45 minuti sono troppo pochi per un break che possa
rifocillare anche le cellule sature del nostro cervello... e, al
tempo stesso, sufficienti a ricordarti quanto sia di gran lunga
auspicabile essere chiamati per un RT a Londra Gatwick piuttosto che
a Luton.
Fortuna
vuole che i trainer oggi si sentano di un'umanità ineccepibile, così
che alle 16 si chiuda bottega e si rientri in hotel per una doccia
bollente, al fine di togliersi dalle ossa il gelo pungente di questo
fastidiosissimo vento.
E'
la serata del ristorante thailandese o libanese... c'è ancora
incertezza sulla questione, probabilmente il flusso di aria calda del
phon ci aiuterà a fare chiarezza...
La
proposta circa il ristorante Libanese resta in minoranza, perciò mi
accingo mentalmente ad un'altra delle “cene sociali” della mia
vita, cioè una di quelle serate in cui vai fuori con gli amici (in
questo caso i colleghi) solo per stare in compagnia, senza però
condividere con gli altri commensali i piaceri della tavola (ahimè,
che sofferenza!).
Non
è un mistero, infatti, la mia scarsa passione per tutto ciò che
contempli la cucina indiana o thailandese, poco avvezza -come sono-
al sapore e, ancor meno, all'utilizzo del cumino e del coriandolo.
Nella cucina thailandese, la lemongrass -un'erbetta dal pungente
sapore di citronella- mi porta ancora di più a desistere dal gustare
quello che, altrove, si rivelerebbe un soddisfacente piatto di
noodles, ripiegando su quegli intrugli a base di latte di cocco,
panna e nocciole dal sapore, poi, quasi sempre indefinito.
Ma
a Londra non esiste un sapore che possa essere definito come
propriamente “tipico”, né un tipo di cucina tradizionale, al di
là di una steak o burger house. Parliamoci chiaro: evitare qualcosa
che rientri nella triangolazione indiano/thailandese/cinese, durante
un soggiorno di 5 giorni, è pressappoco impossibile.
Così
mi accingo ad entrare per la seconda volta (la prima era stata al
recurrent di due anni fa) al Nakorn Thai Restaurant, situato in
Wellington road (la stessa del libanese), accompagnata da altri tre
italiani e una tedesca molto affamati.
Per
quel che possa giudicare della cucina thailandese (non il mio forte),
si tratta di un buon ristorante, con una scelta abbastanza ampia di
antipasti, noodles, riso e portate principali. Da segnalare i
vegetable spring rolls, quelli che in un ristorante cinese prendono
il nome di involtini primavera: più piccoli di questi, ma ricoperti
da una doratura croccante con, all'interno, un ripieno
gustosissimo. Ottima la birra thai, la chang, meno alcolica
della nostra e per questo più leggera. Se desiderate concludere
la vostra cena con un dolce, a meno che non amiate stuzzicare il
fegato, sconsiglio i tocchetti di banana fritta col gelato: la
frittura, ovviamente golosissima e accattivante, resta comunque molto
pesante, e mandare giù tutti e tre i pezzi sul piatto risulta
alquanto difficile. Se dividete il dolce con qualcuno, rappresenta
una buona alternativa... altrimenti... non dite che non vi abbia
avvisati!
La
serata si conclude con il rientro in hotel e la preparazione per la
giornata “definitiva”: quella dell'esame.
Passerei
ben volentieri oltre le nove ore trascorse nella solita e triste
auletta senza finestre (per la cronaca: il test l'abbiamo passato
tutti a primo tentativo, stavolta anche gli inglesi... segno che
qualcosa stia cominciando a cambiare pure lì??!!), per darvi qualche
altra dritta “mangereccia” non particolarmente gustosa, ma utile
per tutti coloro -specialmente i miei colleghi- che preferiscano
trascorrere le serate in hotel a rilassarsi, piuttosto che in giro
per la città.
Di
fianco al banco della reception troverete una miriade di depliant
pubblicitari su ristoranti e locali con consegna gratuita in hotel.
Dopo
aver vagliato attentamente le opzioni, e stabilito di arrestare la
mia lievitazione corporea interrompendo per la giornata
l'ingurgitamento di panini e pizze, opto per un kebab al piatto con
contorno di patatine fritte, che nel giro di 20 minuti viene
recapitato alla reception a nessun costo aggiuntivo.
Ahimè,
il discorso è sempre quello: la maggiorparte dei gestori di
rosticcerie, nella zona, ha origini indiane o thailandesi, e
inevitabilmente applica principi della cucina di origine a tutti i
propri piatti, e voi vi ritroverete davanti ad una montagna di
tocchetti di carne che, anziché essere semplicemente passati allo
spiedo, profumano di zenzero e oriente.
La
sera dopo, l'ultima del nostro soggiorno, al termine del fatidico
terzo giorno di corso, sembra andare un po' meglio: decidiamo di
festeggiare la conclusione di questa sosta forzata (che, in fondo, mi
ha assolto per 5 giorni dalle attività di cura e manutenzione della
mia casa, oltre che risparmiato non si sa quali catastrofici giri del
mondo), e per l'occasione ci rechiamo in taxi in un pub del
centro, il
molto
carino e caratteristico inglese. Assente il servizio ai tavoli, per
cui -una volta scelto il vostro piatto- dovrete recarvi al bancone
del bar e, assecondando la fila, avanzare il vostro ordine. Prezzi
modici: un panino con hamburger, bacon e formaggio, accompagnato da
patatine e anelli di cipolla, più una birra a meno di £ 8. Nel
dispenser vicino ai tavoli, salsine gratis a volontà. Molto ampia la
scelta dal menù.
Tra
una chiacchiera e un sorso di birra, giungiamo al capolinea di questa
esperienza, che vede miseramente fallire il tentativo di sfatare i
falsi miti esistenti attorno alla città di Luton, perfino ad opera
delle persone che qui vivono o lavorano, incapaci di suggellare il
loro amore per la città con frasi zuccherine o dichiarazioni di
amore e fedeltà.
Luton,
alla fine, è questa: non c'è alcuno scampo.
E
a parte, dunque, qualche consiglio su cosa e dove mangiare,
nient'altro di particolarmente utile sono riuscita ad aggiungere al
vostro imminente o futuro soggiorno in quel della città “orange”.
Del
resto, seduta davanti al finestrino dell'aereo, penso che neanch'io
farò rientro in Italia con chissà quale bagaglio di approfondimenti
su procedure ed equipaggiamenti di emergenza.
Su
qualcosa, però, sento di aver allargato i miei orizzonti e ampliato
le mie conoscenze. E se a qualcuno di voi il nome di Beppe e Fernando
possa suonare come completamente estraneo, qualcun'altro capirà come
ciò che possa aver appreso dai miei due “tutor”, in questi
giorni, abbia sfortunatamente più le sembianze di un fardello, che
di un bagaglio di conoscenze!
Donne,
pochi dolci e meno uova di Pasqua quest'anno... qui occorre lottare
per riprendersi gli uomini!
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