E mi ritrovo qui...
A breve scriverò di un viaggio che,
attraversando colori e sapori, è giunto diretto alla mia emotività,
dando un senso alla frenetica ricerca di un qualcosa che, in questi
anni, non ho mai saputo definire...
Solo oggi riesco a dare un
nome... semplice e autentico come la parola “mamma”: sono le
nostre origini, quelle che ci portiamo dietro ovunque andremo nelle
nostre vite, e che inciteranno qualcuno a scappare lontano, quanto
più possibile, in preda ad un delirio di negazione... ma che
susciteranno in qualcun altro un continuo viaggio all'interno e
attorno a se stesso, alla ricerca dei motivi di una latente
insoddisfazione, che troverà fine in un graduale ritorno alla
semplicità di un passato che, comunque, costituisce il nostro
presente e getta le basi per il nostro futuro...
Tornare a casa da una vacanza ha sempre
una connotazione traumatica per me... scoppierete tutti a ridere,
qualcuno potrà accennare un'espressione infastidita sorretta dal
pensiero “sei sempre in ferie, cosa ti lamenti a fare?”...
Ciò che mi ha spiazzato è proprio il
rientro dalle ferie... rientro dove?
Chiunque torna dal proprio posto di
vacanza per rientrare a casa, portando molte volte con sé regalini o
gadget a ricordo dei giorni spensierati...
Ma il punto, per me, è … quale casa?
Dov'è casa mia?
Quella in cui abito, o quella che mi
porto dentro da 33 anni?
E perché le due case, per me, non
coincidono?
Perché qui dove vivo non mi sento a
casa, nonostante sia proprio qui che io abbia comprato la mia prima
casa?
Perché, allora, sono andata via da
quella che ho sempre considerato casa?
E il flusso di pensieri inizia ad
ingarbugliare la mia mente.
Torno ai miei 17 anni, mai
caratterizzati da quella ribellione che chiunque si aspetterebbe,
eppure così insofferenti nei confronti della “casa”.... casa
intesa non come famiglia, parenti o amici.. casa intesa come
“contenitore” di un qualcosa che, a quell'età, si ha voglia di
liberare...
Che sia un'ambizione, un sogno, un
progetto concreto o una semplice fantasia... a 17 anni io volevo solo
allontanarmi da una terra che non mi aveva mai ferita, ma che sapevo
non avrebbe potuto regalarmi ciò che desideravo: l'indipendenza, la
voglia di un'esperienza di vita lontano dalle mura protettive di una
famiglia, l'eccitazione di una casa in condivisione con delle amiche
e un'esperienza di studi nuova...
Quali studi? Pressappoco indifferente,
per me, che ho sempre spaziato dall'archeologia all'architettura,
passando per le lingue e atterrando sull'universo dell'inconscio e
della sua disciplina, la psicologia...
Mi sarebbe piaciuto fare l'interprete,
ma l'università di lingue non mi appassionava: troppa letteratura,
troppa storia, poco apprendimento concreto... io volevo imparare ad
esprimermi in più lingue, e le materie del piano studi sembravano un
percorso ad ostacoli più che un viale di accesso alla realizzazione
di questa ambizione...
Che poi, perché chi vuole imparare
spagnolo, francese e tedesco in soli 5 anni debba per forza studiarne
la letteratura? Non sarebbe meglio prima imparare i rudimenti e poi
studiare fino alla radice ciò per cui ci si è appassionati?
Non saremmo in Italia...
Forlì sarebbe stata la mia scuola
ideale, specifica per traduttori e interpreti, ma... all'epoca era
solo una scuola, non un'università... e il suo titolo sarebbe stato
un semplice diploma di laurea, non una laurea vera e propria...
E i genitori cosa fanno? Incoraggiano i
propri figli ad innalzarsi, a fare sempre meglio, a costruire un
tenore di vita che sia migliore di quello d'adozione... e un diploma
di laurea probabilmente non basta... occorre IL titolo, l'unico e
inimitabile...
Così, presa dall'euforia
dell'esperienza di vita lontano dalla famiglia, azzardi anche una
scelta che poi si rivelerà la principale causa dell'insoddisfazione
dei miei 20 anni: ti lanci fuori non solo dalla tua città, ma
proprio dalla tua terra di nascita.
Scegli di trasferirti a migliaia di
chilometri, con la scusa della facoltà migliore nell'ambito
scelto... affronti i test, li superi e in un giorno di agosto, in una
città desolata come mai più ho rivisto nella mia vita, scegli anche
il luogo in cui andare a vivere...
Altro che esperienza di condivisione
con le amiche... è facile fare progetti solo con le parole, ma
quando il momento della scelta effettiva si avvicina, la paura
inibisce tanti di quei sogni... così ti ritrovi sola, con le amiche
che decidono di restare, e tu l'unica con la forza e il coraggio di
prendere e andare via... farlo davvero...
Senti di avere il mondo in mano e
quelle che in maniera rude definiamo “palle”... ti guardi allo
specchio fiera di te, ti senti audace, capace di prendere la tua vita
in mano a differenza di chi resta a guardare...
Ma non ti rendi conto che a 18 anni si
è ancora troppo giovani per definirsi impavidi, coraggiosi e capaci
di prendere la propria vita in mano... e che le “palle”
potrebbero, invece, essere proprio quelle manifestate da chi resta...
e da chi oggi è stato capace di realizzare nella sua terra ciò che
tu non hai mai realizzato nemmeno andando fuori dalla tua.
Come dimenticare l'angoscia di quel
giorno di pioggia in piena estate, appena rientrata dal giro di
perlustrazione con papà in quella che avrebbe dovuto essere la mia
città adottiva? Una città deserta, dall'accoglienza algida sebbene
in un afosissimo giorno di agosto...
è così che, un mese prima della
partenza, la paura mi coglie alle spalle... solo le parole di una
mamma e di un papà possono dare forza ai momenti di debolezza di un
figlio, spingerlo ad andare avanti e a non mollare i propri sogni
nemmeno di fronte alle difficoltà, anche le più piccole...
Se solo avessero saputo che quello, in
verità, non era poi davvero il mio sogno... se solo io avessi saputo
quale fosse il mio sogno...
Come potevo saperlo a quell'età? Come
potevo pretendere di afferrare per mano la mia vita e dirigerla, con
sicurezza, verso un obiettivo preciso a soli 18 anni?
Se solo avessi palesato maggiormente le
mie insicurezze... e se solo loro fossero stati più inclini a
comprendere al di là delle mie finte apparenze...
Ma come dare torto ai genitori, al loro
slancio nei confronti di un figlio, a quell'amore incondizionato che
li porta ad allontanarsi dalla cosa più cara che hanno, solo per via
del suo bene?
E come deludere le loro aspettative,
magari affermando di non avere ancora progetti in mente per il
proprio futuro, se non smettere di studiare per cercare, magari,
ispirazione in un lavoro?
Tornando con la mente a quel periodo,
mi sembra davvero pazzesco che qualcuno possa realmente scegliere la
sua vita a quell'età, e seguire il progetto con amore e passione
fino al suo compimento.
C'è a chi capita, sono circondata da
persone che hanno avuto questa capacità.
Ma non è successo a me.
La mia testardaggine, per di più, non
mi ha mai fatto capitolare: fin dagli inizi ho palesato la mia
insoddisfazione, macinando esami su esami per poter correre a casa
quanto prima e poterci restare quanto più a lungo tra un semestre e
l'altro. Davo gli esami sempre alla prima sessione disponibile,
studiando più materie contemporaneamente, per poi poter tornare al
mio “nido”.
E le parole di una mamma affranta, nel
vedere insoddisfatta la propria figlia pur non avendole mai negato la
possibilità di scelta autonoma. Mi hanno sempre dato tutto, mi hanno
fatto scegliere da sola, mi hanno concesso la possibilità di
sbagliare... ma di fronte all'opportunità di rimediare, con un
riavvicinamento e trasferimento a Palermo, nella stessa facoltà, il
mulo ha eretto un vero e proprio muro.
Per me avrebbe avuto il sapore di un
fallimento, non potevo arrendermi alla prima difficoltà, del resto
me l'avevano insegnato proprio loro... e ostinatamente sono andata
avanti per 5 anni, senza mai appassionarmi totalmente all'oggetto di
studio e vivendo la mia vita li a metà... forse sarebbe meglio dire
NON vivendo...
Perché io, quegli anni li, sento
davvero di non averli mai vissuti...
Naturalmente, al termine degli studi
sono tornata quasi immediatamente al mio ovile, accontentandomi di
lavoretti instabili e poco appaganti pur di non dover rimettere le
ali.
Il solo pensiero di dover tornare
fuori, anche se per lavoro, mi spezzava il cuore e affievoliva le mie
già pochissime energie ai colloqui motivazionali.
Poi, la forza motrice della mia vita si
è attivata... ho sentito l'energia fluire verso un obiettivo, che
era quanto di più lontano potesse esistere dai miei studi e dal
progetto di vita che sembravo essermi cucita addosso.
Un lavoro che avrei potuto
tranquillamente fare senza il titolo di studi conseguito a fatica
(economica e morale), quanto di meno qualificante un genitore potesse
aspettarsi per il proprio figlio “in carriera”... eppure capace
di infondermi un'energia così tuonante, capace di farmi sentire
nuovamente viva dopo la morte dei miei anni universitari.
Sotto lo sguardo perplesso, ma al tempo
stesso deluso, della famiglia, a 26 anni ho preso in mano la mia
vita... e sebbene ciò comportasse nuovamente un rimettere le ali,
lontano ancora una volta dalla mia terra e da tutti, ho sentito una
nuova forza e una nuova energia...
Oggi sono quel che sono, soddisfatta
finalmente di ciò che ho costruito.... eppure un senso di
incompiutezza permane, uno spasmodico bisogno di cercare qualcosa
che, fino a ieri, non capivo cosa...
Il mio senso di attaccamento alla terra
greca, a quelle isole così piccole e radicate nelle tradizioni, alla
sua cucina fatta di sapori semplici.
La mia ricerca continua, nei viaggi,
dei borghi dimenticati da tutto e tutti, delle piccole realtà di
villaggio piuttosto che le grandi capitali...
La mia incessante curiosità di fronte
ad una finestra illuminata, nell'immaginare arredi, usi e costumi dei
suoi abitanti...
Tutto urla a squarciagola il bisogno di
un ritorno alle origini, ad una vita semplice, quella che ruota
attorno alla bancarella di un fruttivendolo e alla macelleria sulla
piazza.
Bisogno di chiacchiere semplici tra
persone, fatte di gossip stile “cui apparteni a cui”; nostalgia
di una passeggiata in campagna in mezzo agli animali.
Non credo potrei isolarmi a lungo in
una simile dimensione, ma per un po' mi servirebbe staccare...
tornare ad essere io bimba, senza tutte queste pretese, fissazioni e
preoccupazioni...
Come Cristiano, che in una sera prepara
i bagagli per fuggire dalla mia stessa terra adottiva ai tempi
universitari, nostalgico al solo pensiero di rivedere la sua Sardegna
nei giorni di ferie estivi.
Cristiano torna a casa senza avere
nulla in mano, neanche il famoso titolo... Molla prima di terminare
gli studi, ma la sua terra vuole premiarlo e gli regala in eredità
la casa padronale dei nonni...
Lui costruisce su quelle mura la
propria fortuna... e quella degli ospiti del suo b&b, tra arnesi
medicali dell'antica bottega farmaceutica dei nonni e la tradizione
dei culurgiones a tavola.
Al termine di questo viaggio, ho capito
che è Cristiano uno di quelli che realmente nella sua vita ha avuto
“le palle”, il coraggio...
Non di andare via... ma di restare...
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