Assidua lettrice di racconti di viaggio (dei Turisti per Caso), e recensore costante su Trip Advisor per quel che riguarda hotel, ristoranti e posti da visitare… Questa sono io, e la mia idea di racchiudere in un'unica pagina, la mia, tutti gli svariati contributi relativi ai miei viaggi nel mondo reale e in quello del gusto, di modo che esperienze, sensazioni, colori, sapori e giudizi possano insieme mescolarsi nel diario di un'esperienza di vita.

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domenica 23 giugno 2013

RIFLESSIONI DI VIAGGIO


E mi ritrovo qui...
A breve scriverò di un viaggio che, attraversando colori e sapori, è giunto diretto alla mia emotività, dando un senso alla frenetica ricerca di un qualcosa che, in questi anni, non ho mai saputo definire... 
Solo oggi riesco a dare un nome... semplice e autentico come la parola “mamma”: sono le nostre origini, quelle che ci portiamo dietro ovunque andremo nelle nostre vite, e che inciteranno qualcuno a scappare lontano, quanto più possibile, in preda ad un delirio di negazione... ma che susciteranno in qualcun altro un continuo viaggio all'interno e attorno a se stesso, alla ricerca dei motivi di una latente insoddisfazione, che troverà fine in un graduale ritorno alla semplicità di un passato che, comunque, costituisce il nostro presente e getta le basi per il nostro futuro...
Tornare a casa da una vacanza ha sempre una connotazione traumatica per me... scoppierete tutti a ridere, qualcuno potrà accennare un'espressione infastidita sorretta dal pensiero “sei sempre in ferie, cosa ti lamenti a fare?”...
Ciò che mi ha spiazzato è proprio il rientro dalle ferie... rientro dove?
Chiunque torna dal proprio posto di vacanza per rientrare a casa, portando molte volte con sé regalini o gadget a ricordo dei giorni spensierati...
Ma il punto, per me, è … quale casa?
Dov'è casa mia?
Quella in cui abito, o quella che mi porto dentro da 33 anni?
E perché le due case, per me, non coincidono?
Perché qui dove vivo non mi sento a casa, nonostante sia proprio qui che io abbia comprato la mia prima casa?
Perché, allora, sono andata via da quella che ho sempre considerato casa?
E il flusso di pensieri inizia ad ingarbugliare la mia mente.
Torno ai miei 17 anni, mai caratterizzati da quella ribellione che chiunque si aspetterebbe, eppure così insofferenti nei confronti della “casa”.... casa intesa non come famiglia, parenti o amici.. casa intesa come “contenitore” di un qualcosa che, a quell'età, si ha voglia di liberare...
Che sia un'ambizione, un sogno, un progetto concreto o una semplice fantasia... a 17 anni io volevo solo allontanarmi da una terra che non mi aveva mai ferita, ma che sapevo non avrebbe potuto regalarmi ciò che desideravo: l'indipendenza, la voglia di un'esperienza di vita lontano dalle mura protettive di una famiglia, l'eccitazione di una casa in condivisione con delle amiche e un'esperienza di studi nuova...
Quali studi? Pressappoco indifferente, per me, che ho sempre spaziato dall'archeologia all'architettura, passando per le lingue e atterrando sull'universo dell'inconscio e della sua disciplina, la psicologia...
Mi sarebbe piaciuto fare l'interprete, ma l'università di lingue non mi appassionava: troppa letteratura, troppa storia, poco apprendimento concreto... io volevo imparare ad esprimermi in più lingue, e le materie del piano studi sembravano un percorso ad ostacoli più che un viale di accesso alla realizzazione di questa ambizione...
Che poi, perché chi vuole imparare spagnolo, francese e tedesco in soli 5 anni debba per forza studiarne la letteratura? Non sarebbe meglio prima imparare i rudimenti e poi studiare fino alla radice ciò per cui ci si è appassionati?
Non saremmo in Italia...
Forlì sarebbe stata la mia scuola ideale, specifica per traduttori e interpreti, ma... all'epoca era solo una scuola, non un'università... e il suo titolo sarebbe stato un semplice diploma di laurea, non una laurea vera e propria...
E i genitori cosa fanno? Incoraggiano i propri figli ad innalzarsi, a fare sempre meglio, a costruire un tenore di vita che sia migliore di quello d'adozione... e un diploma di laurea probabilmente non basta... occorre IL titolo, l'unico e inimitabile...
Così, presa dall'euforia dell'esperienza di vita lontano dalla famiglia, azzardi anche una scelta che poi si rivelerà la principale causa dell'insoddisfazione dei miei 20 anni: ti lanci fuori non solo dalla tua città, ma proprio dalla tua terra di nascita.
Scegli di trasferirti a migliaia di chilometri, con la scusa della facoltà migliore nell'ambito scelto... affronti i test, li superi e in un giorno di agosto, in una città desolata come mai più ho rivisto nella mia vita, scegli anche il luogo in cui andare a vivere...
Altro che esperienza di condivisione con le amiche... è facile fare progetti solo con le parole, ma quando il momento della scelta effettiva si avvicina, la paura inibisce tanti di quei sogni... così ti ritrovi sola, con le amiche che decidono di restare, e tu l'unica con la forza e il coraggio di prendere e andare via... farlo davvero...
Senti di avere il mondo in mano e quelle che in maniera rude definiamo “palle”... ti guardi allo specchio fiera di te, ti senti audace, capace di prendere la tua vita in mano a differenza di chi resta a guardare...
Ma non ti rendi conto che a 18 anni si è ancora troppo giovani per definirsi impavidi, coraggiosi e capaci di prendere la propria vita in mano... e che le “palle” potrebbero, invece, essere proprio quelle manifestate da chi resta... e da chi oggi è stato capace di realizzare nella sua terra ciò che tu non hai mai realizzato nemmeno andando fuori dalla tua.
Come dimenticare l'angoscia di quel giorno di pioggia in piena estate, appena rientrata dal giro di perlustrazione con papà in quella che avrebbe dovuto essere la mia città adottiva? Una città deserta, dall'accoglienza algida sebbene in un afosissimo giorno di agosto...
è così che, un mese prima della partenza, la paura mi coglie alle spalle... solo le parole di una mamma e di un papà possono dare forza ai momenti di debolezza di un figlio, spingerlo ad andare avanti e a non mollare i propri sogni nemmeno di fronte alle difficoltà, anche le più piccole...
Se solo avessero saputo che quello, in verità, non era poi davvero il mio sogno... se solo io avessi saputo quale fosse il mio sogno...
Come potevo saperlo a quell'età? Come potevo pretendere di afferrare per mano la mia vita e dirigerla, con sicurezza, verso un obiettivo preciso a soli 18 anni?
Se solo avessi palesato maggiormente le mie insicurezze... e se solo loro fossero stati più inclini a comprendere al di là delle mie finte apparenze...
Ma come dare torto ai genitori, al loro slancio nei confronti di un figlio, a quell'amore incondizionato che li porta ad allontanarsi dalla cosa più cara che hanno, solo per via del suo bene?
E come deludere le loro aspettative, magari affermando di non avere ancora progetti in mente per il proprio futuro, se non smettere di studiare per cercare, magari, ispirazione in un lavoro?
Tornando con la mente a quel periodo, mi sembra davvero pazzesco che qualcuno possa realmente scegliere la sua vita a quell'età, e seguire il progetto con amore e passione fino al suo compimento.
C'è a chi capita, sono circondata da persone che hanno avuto questa capacità.
Ma non è successo a me.
La mia testardaggine, per di più, non mi ha mai fatto capitolare: fin dagli inizi ho palesato la mia insoddisfazione, macinando esami su esami per poter correre a casa quanto prima e poterci restare quanto più a lungo tra un semestre e l'altro. Davo gli esami sempre alla prima sessione disponibile, studiando più materie contemporaneamente, per poi poter tornare al mio “nido”.
E le parole di una mamma affranta, nel vedere insoddisfatta la propria figlia pur non avendole mai negato la possibilità di scelta autonoma. Mi hanno sempre dato tutto, mi hanno fatto scegliere da sola, mi hanno concesso la possibilità di sbagliare... ma di fronte all'opportunità di rimediare, con un riavvicinamento e trasferimento a Palermo, nella stessa facoltà, il mulo ha eretto un vero e proprio muro.
Per me avrebbe avuto il sapore di un fallimento, non potevo arrendermi alla prima difficoltà, del resto me l'avevano insegnato proprio loro... e ostinatamente sono andata avanti per 5 anni, senza mai appassionarmi totalmente all'oggetto di studio e vivendo la mia vita li a metà... forse sarebbe meglio dire NON vivendo...
Perché io, quegli anni li, sento davvero di non averli mai vissuti...
Naturalmente, al termine degli studi sono tornata quasi immediatamente al mio ovile, accontentandomi di lavoretti instabili e poco appaganti pur di non dover rimettere le ali.
Il solo pensiero di dover tornare fuori, anche se per lavoro, mi spezzava il cuore e affievoliva le mie già pochissime energie ai colloqui motivazionali.
Poi, la forza motrice della mia vita si è attivata... ho sentito l'energia fluire verso un obiettivo, che era quanto di più lontano potesse esistere dai miei studi e dal progetto di vita che sembravo essermi cucita addosso.
Un lavoro che avrei potuto tranquillamente fare senza il titolo di studi conseguito a fatica (economica e morale), quanto di meno qualificante un genitore potesse aspettarsi per il proprio figlio “in carriera”... eppure capace di infondermi un'energia così tuonante, capace di farmi sentire nuovamente viva dopo la morte dei miei anni universitari.
Sotto lo sguardo perplesso, ma al tempo stesso deluso, della famiglia, a 26 anni ho preso in mano la mia vita... e sebbene ciò comportasse nuovamente un rimettere le ali, lontano ancora una volta dalla mia terra e da tutti, ho sentito una nuova forza e una nuova energia...
Oggi sono quel che sono, soddisfatta finalmente di ciò che ho costruito.... eppure un senso di incompiutezza permane, uno spasmodico bisogno di cercare qualcosa che, fino a ieri, non capivo cosa...
Il mio senso di attaccamento alla terra greca, a quelle isole così piccole e radicate nelle tradizioni, alla sua cucina fatta di sapori semplici.
La mia ricerca continua, nei viaggi, dei borghi dimenticati da tutto e tutti, delle piccole realtà di villaggio piuttosto che le grandi capitali...
La mia incessante curiosità di fronte ad una finestra illuminata, nell'immaginare arredi, usi e costumi dei suoi abitanti...
Tutto urla a squarciagola il bisogno di un ritorno alle origini, ad una vita semplice, quella che ruota attorno alla bancarella di un fruttivendolo e alla macelleria sulla piazza.
Bisogno di chiacchiere semplici tra persone, fatte di gossip stile “cui apparteni a cui”; nostalgia di una passeggiata in campagna in mezzo agli animali.
Non credo potrei isolarmi a lungo in una simile dimensione, ma per un po' mi servirebbe staccare... tornare ad essere io bimba, senza tutte queste pretese, fissazioni e preoccupazioni...
Come Cristiano, che in una sera prepara i bagagli per fuggire dalla mia stessa terra adottiva ai tempi universitari, nostalgico al solo pensiero di rivedere la sua Sardegna nei giorni di ferie estivi.
Cristiano torna a casa senza avere nulla in mano, neanche il famoso titolo... Molla prima di terminare gli studi, ma la sua terra vuole premiarlo e gli regala in eredità la casa padronale dei nonni...
Lui costruisce su quelle mura la propria fortuna... e quella degli ospiti del suo b&b, tra arnesi medicali dell'antica bottega farmaceutica dei nonni e la tradizione dei culurgiones a tavola.
Al termine di questo viaggio, ho capito che è Cristiano uno di quelli che realmente nella sua vita ha avuto “le palle”, il coraggio...
Non di andare via... ma di restare...

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